Le prime indagini

Posted by on mag 5, 2013 in Senza categoria | Commenti disabilitati

Per lomicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, la prima pista imboccata dagli inquirenti è quella di un regolamento di conti di spacciatori di droga. Poi la versione ufficiale si trasforma: duplice omicidio maturato allinterno dei gruppi di sinistra del quartiere. Nei giorni successivi, avviene almeno un fatto strano. Nel 1988, viene descritto dai giornalisti Umberto Gay e Fabio Poletti nel dossier di controinformazione di Radio Popolare:
“Mentre i familiari di Fausto si trovano a Trento dove hanno seppellito il giovane, si verifica un fatto inquietante. La vicina del pianerottolo, un tardo pomeriggio, sente dei rumori. Sa che nell’appartamento di Tinelli non c’è nessuno e, incuriosita, si mette a sbirciare dallo spioncino. Nota sul pianerottolo degli uomini che aprono la porta ed entrano nell’appartamento. In un primo tempo racconterà che erano persone in divisa: in seguito si sentirà di confermare che erano muniti di torce. Sta di fatto che quando Danila Tinelli rientra a Milano scopre che sono scomparsi proprio i nastri su cui Fausto registrava i risultati di unindagine sullo spaccio di eroina nel quartiere. Non manca nientaltro, solo i nastri, la porta dingresso non risulterà essere stata forzata. All’epoca a Danila Tinelli non erano stati restituiti gli effetti personali di Fausto, fra cui le chiavi di casa”.
Le indagini del sostituto procuratore di Milano Armando Spataro e del poliziotto Carmine Scotti provano la pista politica dell’assassinio e la matrice di destra dei killer. Infatti giungono le rivendicazioni. 18 marzo 1978, ore 21,30. LAnsa riceve una telefonata da una cabina di Milano, piazza Oberdan: “Sergio Ramelli piangeva vendetta, ieri è stato vendicato. Giustiziere dItalia. Firmato: gruppo armato Ramelli”.
22 marzo 1978, il giorno dei funerali di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, ore 8,25. Seconda telefonata allagenzia Ansa: “Mentre si celebrano i funerali rivendicano l’eliminazione dei due giovani di Lotta Continua avvenuta per vendicare l’uccisione dei nostri camerati. Firmato: Gruppi Nazionali Rivoluzionari”. 23 marzo 1978, ore 21,30. Roma, via Leone IV. In una cabina telefonica, la polizia rinviene un volantino in triplice copia firmata”Esercito Nazionale Rivoluzionario, Brigata CombattenteFranco An selmi”. Il documento è scritto con una macchina elettrica, porta un simbolo nuovo, come intestazione una runa celtica in un cerchio con le iniziali ENR.
“Sabato 18 marzo una nostra brigata armata di Milano ha giustiziato i servi del sistema Tinelli Fausto e Iannucci Lorenzo. Con questo gesto vogliamo vendicare la morte di tutti i camerati assassinati dagli strumenti della reazione e della sovversione. Noi non crediamo nella lotta comunista contro lo Stato, perché, avendo tutte le forze di sinistra la medesima mentalità di questo sistema, esse sono solamente i servi di questo regime. È quindi per questa ragione che lunica forza veramente rivoluzionaria è rappresentata dall’estrema destra. Sappiano i sovversivi che non riusciranno a eliminarci: da questo momento cominceremo ad agire, nulla ci potrà fermare; siamo stanchi di piangere i nostri camerati. Falvella,Ramelli, Zicchieri, Mantakas, Ciavatta, Bigonzetti, Recchioni marciano nelle nostre file e gridano vendetta. Viva la rivoluzione fascista, morte al sistema e ai suoi servi, onore ai camerati assassinatidal Fronte Rosso e dalla reazione”. 25 marzo 1978. Milano. Al Commissariato di polizia Porta Genova giunge via posta un foglio scritto con lettere ricavate da articoli di stampa: “Abbiamo giustiziato Tinelli e Iannucci.Firmato: Gruppo Prima Linea Destra Nazionale

La pista di destra è confermata anche dalla perizia balistica, riassunta dal giudice delle udienze preliminari Clementina Forleo, nell’atto di archiviazione del 6 dicembre 2000: “La perizia disposta sui proiettili estratti dai corpi dei due giovani e sui proiettili rinvenuti nei loro indumenti portava alla conclusione che tutti, di cal. 7,65, erano stati esplosi dalla medesima arma, una pistola appunto cal. 7,65, e che con molta probabilità, trattavasi di arma piuttosto vecchia, del tipo Beretta mod. 34 con originaria canna cal. 9 o mod. 35. Quanto ai proiettili in questione, una prima perizia evidenziava trattarsi di proiettili di marca Winchester, mentre una seconda perizia, effettuata per comparare gli stessi con altri sequestrati nel corso dellindagine e di altre parallele, parlerà di proiettili di marca Fiocchi. Il fatto che sul posto non fossero stati rinvenuti bossoli si spiegava, conformemente con quanto notato dai testi oculari, con il fatto che larma fosse avvolta in un sacchetto di plastica, e ciò evidentemente, proprio per evitare la dispersione dei bossoli. Tale pratica risulterà alquanto diffusa negli ambienti della destra eversiva romana, pure avvezzi allutilizzo di armi vecchie del tipo indicato, oltre che di capi di abbigliamento,impermeabili chiari, analoghi a quelli indossati dagli autori del delitto”.
Gli investigatori perquisiscono le abitazioni di alcuni fascisti milanesi. Sono Gianluca Oss Pinter, Antonio Mingolla, i fratelli Mario e Giuseppe Bortoluzzi, Luigi Brusaferri. Il magistrato Armando Spataro ordina alla polizia giudiziaria di inserire microspie nei telefoni del bar Il Pirata di via Pordenone a Milano. Gli inquirenti ascoltano strane conversazioni; cè chi dice di aver dimenticato un impermeabile bianco in un locale come ricorda il giudice Clementina Forleo: “Sempre nellambito della pista relativa agli ambienti dellestrema destra locale, le indagini si accentravano a un certo punto su Mingolla Antonio e i fratelli Bortoluzzi. In particolare, il 21.3.1978, il Mingolla e il Bortoluzzi Mario rimanevano coinvolti in un incidente stradale mentre si trovavano a bordo della motocicletta del primo. Gli operanti intervenuti rinvenivano nella disponibilità del Mingolla una pistola Smith & Wesson cal. 44 Magnum, mentre nellabitazione dei fratelli Bortoluzzi, Mario e Giuseppe, venivano trovate due pistole Beretta, una cal. 6,35 e laltra cal. 7,65, questultima non efficiente, oltre a munizioni per pistola cal. 44. Intanto, nel bar Il Pirata, ubicato in via Pordenone e frequentato dai tre, veniva sequestrato un impermeabile chiaro che la titolare,Mazzocchi Natalina, riferiva essere stato lasciato nel locale la domenica o il lunedì precedente, e comunque sicuramente dopo l’uccisione dei due ragazzi. Tale impermeabile veniva riconosciuto da Bortoluzzi Giuseppe come appartenente a suo fratello Mario. Su tale indumento veniva effettuata perizia chimica per laccertamento di eventuale presenza di polvere da sparo, che dava tuttavia esito negativo. Importante rilevare che nel corso dell’intercettazione dellutenza in uso a tale bar, il 24.3.1978, interveniva una conversazione in cui un dipendente dello stesso, Gallo Giuseppe, informava Bortoluzzi Mario, chiamante dal carcere Beccaria, del sequestro dellimpermeabile in questione, ricevendo poi dal predetto lincarico di contattare Gigi Cris, il quale sarà poi identificato in Brusaferri Luigi, noto esponente della destra locale. Nellabitazione dei Bortoluzzi venivano inoltre rinvenuti tre giubbotti color nocciola. Mentre Bortoluzzi Mario si avvaleva della facoltà di non rispondere, il Mingolla e il Bortoluzzi Giuseppe negavano ogni addebito, anche in relazione alle armi sequestrate. Ma mentre il primo dichiarava di non conoscere Oss Pinter, il secondo affermava il contrario, aggiungendo di averlo incontrato nel bar Il Pirata, posto frequentato anche dal Mingolla, dopo laggressione subita e con la testa rasata. Oss Pinter, da parte sua, negava di conoscere sia il Mingolla che i fratelli Bortoluzzi.

Circa i movimenti dei tre il giorno del fatto, il Mingolla dichiarava dapprima di non ricordare dove fosse stato, riferendo successivamente di aver trascorso lintero pomeriggio a controllare i conti della settimana presso la biglietteria dellAir Terminal gestita dalla madre. Bortoluzzi Giuseppe dichiarava di essersi recato con il fratello Mario alle 19,00-19,30 presso la pizzeria Da Aldo sita in via Tolmezzo. Anche tale alibi non ve iva verificato. Va aggiunto che, successivamente, Bortoluzzi Mario ammetterà la paternità dellimpermeabile rinvenuto nel bar Il Pirata, pur escludendo ogni rapporto dello stesso con il fatto in questione, e affermando di aver telefonato al Gallo per farlo sparire temendo di venire perciò coinvolto nelle indagini, avendo appreso che gli autori del fatto indossavano un capo analogo. Quanto al riferimento a Gigi Cris contenuto nella conversazione intercettata, il Bortoluzzi lo riferiva alla prospettiva di avere lo stesso difensore del suddetto.”

1